VISITARE LA CHIESA DEI MORTI DI URBANIA
E’ il 1380 quando un uomo, Cola de Cecco, decide di erigere un piccolo oratorio presso l’antica Casteldurante, cittadina oggi conosciuta come Urbania. Al luogo di culto viene assegnato l’appellativo di Cappella Cola, ma nel corso degli anni questo muta nel ben più suggestivo Chiesa dei Morti. Andiamo a scoprirne il perché.
Dalla fondazione della Confraternita della Buona Morte alla macabra scoperta.
Il 1567, per la Confraternita della Buona Morte di Urbania, è l’anno che segna l’avvio delle attività. I confratelli, caritatevolmente, donano sostegno ai moribondi e a coloro che si trovano nella dolorosa situazione di dover attendere il boia che scriverà la parola fine sulle loro vite.
Questi uomini generosi non tralasciano tuttavia i defunti, occupandosi gratuitamente del trasporto e della sepoltura. E’ il retro della minuta Cappella Cola il luogo scelto per essere adibito a cimitero.
All’inizio dell’800, per volere di Napoleone Bonaparte, viene promulgato l’editto di Saint Cloud. Questo, per ragioni sanitarie, prevede che i defunti vengano seppelliti fuori dai centri abitati e che le salme ospitate nei vecchi cimiteri vengano traslate in quelli nuovi. Ed è così che, occhi sgranati e vanga in mano, gli increduli operai addetti alla riesumazione vedono tornare alla luce corpi perfettamente conservati.
La teoria scientifica più accreditata vuole che le cause di questa mummificazione naturale siano da ricercarsi nelle particolari condizioni climatiche e geologiche del terreno urbaniese e nella presenza di una particolare muffa nel sottosuolo, la Hipha bombicina pers. A quanto pare, le prime hanno garantito una costante aereazione dei corpi, mentre la seconda ha agito come una sorta di antibiotico (inibendo la proliferazione di batteri) ed ha altresì provocato l’essicazione. Il risultato è qualcosa di sbalorditivo. E allora torniamo alla nostra cappella e diamo un’occhiata da vicino all’incredibile.

Chiesa dei morti di Urbania, esterno
La Chiesa dei Morti di Urbania e le sue Mummie.
L’unica sfortuna possibile per una cosa interessante è quella di essere troppo vicina a qualcosa di ancora più interessante. Ed è così che le migliaia di visitatori che ogni anno accorrono a vedere la Chiesa dei Morti di Urbania, ben sapendo cosa li attenderà di lì a poco, non gettano che uno sguardo fuggevole al bel portale gotico in pietra rosata. La medesima disattenzione tocca in sorte al pregevole dipinto della Decollazione di San Giovanni Battista situato nei pressi dell’altare maggiore e a quello sulla parete di sinistra che ritrae il Martirio di Santa Lucia. Queste due opere d’arte sono attribuite rispettivamente a Giustino Episcopi e a Giorgio Picchi.
In effetti è dal 1833, anno in cui il luogo di culto prende a chiamarsi Chiesa dei Morti, che il piatto forte viene servito nel vano che sta dietro l’altare. Qui, protetti da teche di vetro, sono esposti i corpi mummificati di dodici uomini e sei donne, alcuni con tanto di pelle, unghie e capelli.

Dettaglio macabro è il cuore trafitto di una salma custodita presso la Chiesa dei Morti di Urbania
Ogni ospite del Museo-Cimitero ha una storia da raccontare. Tra le salme troviamo quelle dell’impiccato e del sacerdote ammazzato dall’ipercolerolemia. Da brividi quelle della donna uccisa da un cesareo decisamente troppo profondo e del sepolto vivo, morto soffocato o forse di paura, con ancora scolpito sul viso il raccapricciante ghigno sardonico di chi comprende di non avere più scampo. Ci sono poi il ragazzo investito da un carro e quello pugnalato durante una festa da ballo, di cui ancora è conservato il cuore trafitto.
Alzando gli occhi si notano teschi poggiati sulle teche. Una marea di teschi che sembra osservare il visitatore e voler ricordare lui qualcosa. Un qualcosa di molto simile alle parole di Louis-Ferinand Céline, ovvero che “nella Storia dei Tempi, la vita non è che un’ebbrezza, la Verità è la Morte”.
Tre mummie particolari.
Se buona parte delle informazioni circa gli ospiti della Chiesa dei Morti di Urbania è dovuta alla moderna scienza, è altresì vero che in passato un altro uomo ha cercato di svelare il mistero della sorprendente conservazione delle salme. Si tratta di Vincenzo Piccini. Costui ,medico farmacista, nonché priore della Confraternita, assiste alla riesumazione dei cadaveri e si convince che corpi a tal punto inalterati nella sembianze non possono che essere stati sottoposti ad una qualche alchimia. Decide allora di mettere a punto degli intrugli e dispone che allo spegnersi della vita le sue spoglie, al pari di quelle della moglie e del figlio, vengano con essi trattate.
Oggi il corpo del Piccini, riconoscibile perché l’unico ad essere vestito della tunica bianca e nera delle cerimonie funebri, è custodito nella medesima chiesa assieme a quelli dei famigliari. Il suo non si può definire un totale buco nell’acqua, dal momento che la mummificazione è in effetti avvenuta, ma le tre salme risultano più chiare e peggio conservate delle altre.
Ho visitato la chiesa dei morti di Urbania molti anni fa. Un’esperienza che rifarei, nonostante il pugno allo stomaco che provoca la vista delle mummie.
Vero, non è una visita che si dimentica in cinque minuti. Ma è proprio qui che sta la forza di questo luogo. Un sorriso.