Il mistero delle campane di San Nicolò
Aria buona, belle camminate ed esistenze che scorrono secondo i blandi ritmi di paese. Nessuno, in quel di Carpegna, avrebbe potuto immaginare il nome del proprio abitato pronunciato a ripetizione nel corso di telegiornali e programmi tv. Men che meno si sarebbe pensato alla piccola cittadina marchigiana come a una meta da citare su riviste dedicate al mistero e alla parapsicologia. Eppure questo è esattamente ciò che avvenne sul finire del 1970.
Era il giorno dei Santi e l’ora di cena appena trascorsa. Nel Convento di San Nicolò, fra’ Mario e il confratello Giuseppe discutevano del più e del meno nella cella di quest’ultimo. La conversazione venne però interrotta bruscamente dallo scampanare del Cendìno, la più piccola delle quattro campane in forza al luogo di fede, utilizzato solitamente per invitare a messa i parrocchiani.
I due religiosi, allarmati da quel suono a distesa assolutamente fuori orario, si precipitarono in refettorio temendo un qualche evento infausto. Trovarono ad accoglierli dei frati con gli occhi fissi alla tv che, sconcertati, confidarono loro di non aver udito proprio nulla. Nemmeno le orecchie del parroco e del campanaro avevano colto alcunché. Il gruppo, ad ogni modo, volle verificare che tutto fosse a posto: trovò la cella campanaria chiusa a chiave e, uscendo, poté constatare che sia le corde che le campane se ne stavano lì, assolutamente immobili, nell’aria frizzante e priva di vento di quel primo novembre.
Si pensò allora alla eco proveniente da un altro campanile della zona. Che qualcuno fosse finito in qualche guaio e stesse cercando aiuto? I servitori di Dio presero allora a bussare alle chiese del territorio, trovando ogni volta ad accoglierli frati o preti dal volto basito, che al posto di fornire loro spiegazioni ne chiedevano.

I religiosi, un tantino imbarazzati per aver dato la stura a un inutile allarme, fecero ritorno al Convento. Ma alle 22 il Cendìno fece sentire di nuovo la sua voce argentina, questa volta udita da tutti gli abitanti del San Nicolò. O meglio da tutti coloro che si recarono in una determinata stanza, perché – nonostante le porte aperte – nei vani attigui nessun rumore era minimamente percepibile. Neanche al di fuori dell’edificio sacro era possibile ascoltare alcunché.
A intervalli regolari e per tutta la notte, la piccola campana continuò a terrorizzare i frati. Nella mattinata successiva, giorno dei Morti, qualcosa cambiò: lo scampanare prese a farsi sentire nel chiostro, ma non all’interno della Chiesa. La gente accorsa per la messa rimase allibita nel constatare l’immobilità delle campane e il forte rumore che da esse proveniva.
Si andò avanti così fino al 13 novembre, quando anche la campana di Mezzogiorno attaccò a far sentire i suoi rintocchi pur restando ferma.
D’accordo con gli altri religiosi, tutte le campane della zona smisero di essere utilizzate. Ma l’inspiegabile fenomeno era ben lontano dal conoscere il suo termine. Il Convento venne setacciato a palmo a palmo, prima dai frati e poi da professionisti, alla ricerca di un qualche marchingegno utile a un eventuale tiro mancino giocato da un abile burlone. Non fu trovato nulla. Tuttavia ciò sembrò non bastare alle autorità che, per tagliare la testa al toro, adducendo vaghe motivazioni per non turbare ulteriormente la popolazione, decisero d’interrompere il flusso di energia elettrica alla cittadina. Risultati? Nemmeno l’ombra: lo strano concerto non ebbe intoppi.

Il 1971 portò con sé una novità per nulla graziosa: dalla terza campana, anch’essa immobile come le altre, attaccarono a diffondersi lugubri rintocchi a morto. Fu presto il panico. In effetti ogni scintilla di vita proveniente dal bronzo corrispondeva al decesso d’un paesano.
Contemporaneamente, alcuni fedeli che frequentavano il Complesso di San Nicolò – guidati forse dalla suggestione – dissero d’aver visto fantasmi trapassare le mura. Non pochi, poi, furono coloro che presero a collegare il fenomeno a una imperdonabile negligenza: a quanto si dice, solo poco tempo prima che il Cendìno attaccasse le sue bizze, un frate molto benvoluto dalla comunità locale era venuto a mancare. Tutte le campane sparse nei dintorni vollero porgergli l’ultimo saluto con la loro musica. Tutte tranne quelle di San Nicolò.
Sia come sia, i credenti di Carpegna e delle zone limitrofe presero a scongiurare il parroco affinché questi celebrasse messe per i defunti. Una mattina qualcuno – o qualcosa – rafforzò l’invito facendo lui trovare tutti i paramenti ordinatamente disposti sull’altare, quando avrebbero dovuto trovarsi riposti sotto chiave nei cassetti della sagrestia.
Forse per via delle solenni celebrazioni, o forse perché lo scherzo venne a noia, con il finire del 1971 la situazione rientrò gradualmente nella norma.
Ma cosa dice la scienza riguardo tutto questo? Poco o nulla, a essere sinceri. Gli studiosi, se parlano, parlano a bassa voce, dal momento che le risposte non possono essere che parziali e affatto avallate da prove concrete. Ad ogni modo, la spiegazione che va per la maggiore è quella che vorrebbe San Nicolò funzionare da cassa armonica: l’edificio sacro avrebbe captato il suono proveniente da un qualche campanile situato nella direttrice d’Urbino per poi amplificarlo. Con la realizzazione di una qualche struttura sul detto asse, poi, il meccanismo si sarebbe definitivamente inceppato.
Certo, questo darebbe risposta all’immobilità delle campane, tuttavia non racconta minimamente del come mai il frastuono fosse udibile in alcuni luoghi del convento e non in altri, magari adiacenti (neppure a pochi centimetri dalla cella campanaria era possibile percepire il rumore più lieve). Insomma, chi vivrà vedrà.
Di sicurò, però, quello che rimane è il timore, la paura delle genti di Carpegna che mai vorrebbero trovarsi ad ascoltare i rintocchi mossi autonomamente dall’ultima delle quattro campane, l’unica che fino ad oggi non ha fatto sentire la sua voce, e che la fantasia popolare ha promosso a portavoce di estrema e finale sventura.