Campo di Belforte, il bel castello “ignobile”
A due passi da Sestino, poggi e boschi nascondono un antico castello, un gruppo di abitazioni indeciso se sentirsi più affine alle Marche o alla Toscana: è Campo di Belforte.
Si tratta di un borghetto di poche case e, probabilmente, di ancor meno abitanti. Già a vederlo di lontano questo luogo suscita emozioni contrastanti di stupore e di velata tristezza. Un’affascinante e piuttosto integra casa torre, nel suo svettare, pare voler gareggiare in visibilità con la rete arancione che avvisa il visitatore (che ancora deve mettere piede nel paese vero e proprio) di tenersi a debita distanza dalla porzione di colle che sta franando.

A dare un mesto benvenuto al forestiero che decide di visitare Campo di Belforte ci pensa una chiesetta piuttosto anonima e senza evidenti tracce di antichità, apprezzabile però per il fatto che nelle sue vicinanze si può lasciare l’automobile per i pochi istanti necessari ad una visita all’affatto distante castello.
Entrando nell’abitato si contano, poste su un tappeto d’erba che non può non trascinare la fantasia indietro di qualche secolo, abitazioni d’ogni sorta: alcune piuttosto male in arnese, altre intonacate nella più disgraziata maniera, altre ancora riportate ad una seconda giovinezza da sapienti lavori di restauro.
Chiesa di San Pietro di Campo
All’estremo margine del podio sui cui rimane artigliato il paesotto, c’è una graziosa scalinata di pietra che dovrebbe condurre ad una casa ubicata poco più da basso, ma che al momento rappresenta anche l’unica via per raggiungere la più antica chiesa del posto.

San Pietro, questo è il santo a cui è intitolato il luogo di fede, se la passa bene solo per metà. O meglio, la porzione riattata ad abitazione pare in gran forma, il resto dell’edificio sembra invece rassegnato ad elemosinare un aiuto che difficilmente arriverà. Ed è un peccato, perché questa vecchia chiesa – oggi così bistrattata – doveva in passato godere di grande considerazione se è vero che per la sua realizzazione sono state utilizzate pietre d’arenaria perfettamente riquadrate, alcune lavorate pazientemente a incidere pattern geometrici a forza di scalpello. Operazioni, queste, riservate in epoca medievale a costruzioni d’una certa importanza e notorietà.
Piuttosto curiosi sono anche alcuni conci di reimpiego che si mostrano sulla parete destra, conci a cui mani ormai dimenticate hanno dato la forma ora di visi umani e ora di musi animali e che secondo lo studioso Marco Renzi sarebbero protuberanze rapportabili al culto della lattazione, una forma di credenza a metà tra il fare cristiano e quello pagano, tipico delle culture agro-pastorali del nostro Appennino almeno fino alla metà del secolo scorso.
E allora è bello chiudere gli occhi per un attimo e immaginare il castello di Campo pieno di vita come un tempo, con le genti che al ritorno dal lavoro nei campi cercavano protezione tanto nei riti della tradizione quanto nel calore di casa e nelle solide mura che fino a non molto tempo addietro abbracciavano l’abitato.

Qualcosa sulla storia del castello di Campo di Belforte
Campo di Belforte, anticamente conosciuto come Campli, divenne cosa dei conti di Piagnano nel 1377 per volere di Papa Gregorio IX. A distanza di mezzo secolo questi conti, tali Oliva, si trovarono per motivi di convenienza alleati ai Malatesta di Rimini, e ciò valse al castello di Campo un assedio ad opera degli urbinati nell’anno 1439.
Questo assedio fu forse per Campo di Belforte il momento storico più rilevante, ma – come riportato dalle vecchie cronache e come ricorda il professor Daniele Sacco – valse al paesino anche l’appellativo di “Castello ignobile”, perché proprio nelle feroci operazioni militari di cui parliamo un giovanissimo Federico da Montefeltro (allora diciassettenne) trovò il suo battesimo del fuoco, venne cioè ferito assai gravemente.

Bibliografia su Campo di Belforte
- D. Sacco – Tra Massa e Montefeltro – Metauro, 2006
- M. Renzi – Il Rospo d’Oro – Editoriale Delfi, 1998