Castello di Pietrarubbia
Il Castello di Pietrarubbia, dove gli occhi si riempiono d’incanto e le orecchie dei sussurri di un tempo passato e inafferrabile.
Un tiro mancino è quello che subito giocano la natura e la storia, quando, arrivando dalla cittadina di Carpegna, ci si trova davanti agli occhi una torre che molti credono essere quella del Castello di Pietrarubbia.
Ma non è così.
Se il visitatore strizza un po’ le palpebre e si avvicina quel tanto che basta, scoprirà che si tratta solamente di rocce. Assemblate in maniera piuttosto bizzarra, tanto da guadagnarsi l’appellativo di Stonhenge italiana, ma sempre rocce sono. Ci cascano tutti, la prima volta che si trovano a passare da queste parti. E il pegno da pagare è quello di doversi lasciar schernire dal vento, che qui, nella brutta stagione, soffia di continuo la sua tremenda risata da lupo.
E’ il sito di Pietrafagnana o, secondo la tradizione, nientemeno che Il dito di Lucifero.
Vuole la leggenda che Dio Onnipotente, proprio in questo luogo, abbia scagliato l’angelo del male dopo il tradimento. Il signore delle tenebre, impattando col terreno, avrebbe creato proprio qui l’ingresso per l’Inferno. Sempre secondo la credenza popolare, il rilievo di Pietrafagnana sarebbe la mano stessa di Lucifero che spunta dal sottosuolo e il roccione posizionato verticalmente, quello simile a una torre, ne rappresenterebbe il dito indice che, ergendosi minaccioso verso il cielo, parrebbe voler sottintendere un tutt’altro che rassicurante “non finisce qui”.
E’ da Mercato Vecchio che prende a salire la stradicciola che porta al Castello di Pietrarubbia, quello vero. Purtroppo della munitissima fortezza, definita inespugnabile nel XIV secolo, oggi rimane poco. Il visitatore moderno troverà ad attenderlo qualche brandello di muro e una torre, detta Torre del Falco, che ancora sporge silenziosa e fiera dal suo costone di roccia e come un vecchio generale testardo mostra la sua faccia arcigna al nemico mortale, il tempo, rifiutandosi ostinatamente di dargliela vinta.
Ah, che tempi quando il nemico era l’uomo medievale! Quando lo si poteva guardare dall’alto e scorgerlo piccolo, giù in fondo al terribile dirupo, magari nell’atto di osservare titubante le rocce ferrigne, rosse, quasi come fossero imbevute del sangue di vecchi rivali spazzati via in un ghigno.
Già, le rocce rosse, è da queste che deriva il nome del luogo: Pietrarubbia, ovvero, Pietra Rossa.
Il castello, già esistente nel V secolo e infeudato a Ulderico di Carpegna nel 962, fu oggetto di aspra contesa tra i Malatesta e i Montefeltro fino al 1463, anno che ne segnò il definitivo passaggio sotto il dominio di questi ultimi, i quali provvidero alla sua risistemazione.
Poco sotto il complesso difensivo sorge il borgo, le cui case sono state realizzate attorno al XVI secolo con materiali recuperati dai vari crolli subiti dal fortilizio. All’interno dell’abitato una chiesetta molto carina si fa notare, è la Chiesa di San Silvestro, la quale è stata realizzata attorno all’anno mille e oggi ospita Il Sole Bronzeo, opera del grande scultore Arnaldo Pomodoro.
Lo stesso Pomodoro ha voluto rinnovare la tradizione che dal medioevo lega Pietrarubbia all’arte della lavorazione del ferro, fondando proprio qui il Centro T.A.M per il trattamento artistico dei metalli, un’officina creativa che ogni anno accoglie svariati giovani artisti.
Pietrarubbia, assieme a San Leo, Carpegna e Montecopiolo è uno dei luoghi più antichi del Montefeltro. L’aria che si respira è frizzante, carica di una calma solennità che riporta in dietro di secoli.
Signori, le suggestioni da queste parti sono infinite.