Eremo di Fonte Avellana: all’ombra del Catria, alla luce di Dio
Enormi alberi i cui rami resistono caparbi e apparentemente immobili in un tentativo di abbraccio vecchio di secoli, massi che paiono teste mozzate di giganti, ruscelli invisibili che dal fondo del bosco sussurrano la loro melodia, il loro canto sommesso e identico a se stesso dalla notte dei tempi: questo è ciò che i sensi hanno modo di archiviare percorrendo la tortuosa stradicciola che conduce al meraviglioso Eremo di Fonte Avellana.
Chilometro dopo chilometro aumenta la sensazione che la nostra ordinaria automobile si stia trasformando in una Delorean e l’impressione di essere stati catapultati in un nuovo episodio di Ritorno al futuro a sostituire Michael J. Fox – magari nel ruolo di attori protagonisti – certo non diminuisce quando il celebre luogo di fede si fa a portata di sguardo.
Di primo acchito Fonte Avellana pare un castello, un borgo fortificato messo lì a difesa d’un piccolo regno fatto di quiete. Quasi sorprende, avvicinandosi, lo scoprire che si tratta invece di una Città di Dio. Una città dal volto incantevole, e che per questo merita d’esser detta.

Eremo di Santa Croce di Fonte Avellana: gli occhi raccontano…
Un imponente agglomerato di pietra che nasce sulla roccia, un frammento intatto di remotissimo passato che sembra avere per madre la montagna stessa: questo è il Monastero di Fonte Avellana. Anzi, parrebbe che lo stesso massiccio del Catria, al pari di una donna che teneramente allatta il suo piccolo, abbia voluto amorevolmente nutrire la struttura della propria solida pietra al fine di vederla crescere e farsi grande al suo fianco.
Gli esseri umani che ormai da più di un millennio animano Santa Croce, dal canto loro, parrebbero aver inteso tale premura e la ricambiano con rispetto di figli devoti. Niente fronzoli, a Fonte Avellana. Niente che possa in una qualche maniera adombrare di proposito l’incantevole della circostante natura. Quassù tutto parla di armonia, l’armonia tra uomo e paesaggio e quella – forse ancor più difficile da raggiungere – tra le generazioni di costruttori che si sono avvicendate nei secoli occorsi alla realizzazione del luogo di fede.
E così le poderose arcate e le spesse mura di cui si compone l’ Eremo di Fonte Avellana, benché messe a punto in epoche differenti, sembrano essere figlie della medesima, sapiente mano.
E’ una bellezza semplice e austera quella che il cenobio umilmente mostra al visitatore, semplice e austera come le vite che i secoli hanno visto scorrere da queste parti. L’unica che si concede qualche vezzo in più è la torre campanaria, la quale, similmente a una bimba che si alza sulle punte, svetta incontro al cielo come per esser la prima a ricevere il mattutino bacio del sole.

Dentro le stanze del Monastero di Fonte Avellana
Se la maestosità degli esterni lascia piacevolmente a corto di parole, gli interni non sono affatto da meno.
Il vano più sensazionale è senza dubbio lo scriptorium, un salone piuttosto ampio e dall’architettura marcatamente romanica-medievale dove la luce è lasciata entrare da ben ventuno finestre. D’altro canto la luminosità era elemento essenziale per il minuzioso lavoro degli amanuensi che qui trascorrevano buona parte della giornata nel tentativo di ottemperare alla Regola di San Benedetto e, assieme, di tramandare il sapere.
Più incerta è invece la funzione che dovette assolvere la bella stanza attigua: probabilmente una piccola chiesetta mai del tutto ultimata, forse una cucina, un laboratorio dove si realizzavano inchiostri, uno studium, oppure un luogo dove i pellegrini sulla via per Roma potessero trovare cibo e riposo. O, magari, tutte queste cose assieme, sia pure in epoche differenti.
Dopo aver gettato uno sguardo almeno alla biblioteca (allestita nella seconda metà del ‘900), è possibile varcare la soglia che conduce alla parte più interna, per certi versi più intima, del Monastero di Fonte Avellana.
Ad accoglierci, un piccolo chiostro attorniato da particolarissimi archi, archi che l’occhio inesperto potrebbe scambiare per gotici: in realtà sono decisamente poco appuntiti e la loro base eccessivamente larga perché l’etichetta calzi loro a pennello. Si tratta di arcate influenzate, curiosamente, dallo stile orientale. Altro elemento interessante è il pavimento che, in questo tratto, risulta ancora essere quello dell’anno di fondazione.
Girando attorno al chiostro ci si imbatte presto nella Sala Capitolare (XII° secolo), le cui pareti sono imbevute del colore che resta di un affresco realizzato attorno al 1500.
Cripta e Basilica
Adiacente alla Sala Capitolare se ne sta l’ambiente forse più antico, certo più suggestivo, dell’ Eremo di Fonte Avellana: è la Cripta, la chiesa primitiva, un luogo del tutto intriso dell’atmosfera che qui doveva regnare nel X° secolo.
Divisa in tre absidi (quella centrale a catino, le altre a parete), la struttura in stile romanico accenna alla pianta, piuttosto tipica, a croce latina.
L’altare centrale, anch’esso risalente agli albori dello straordinario edificio di culto, si compone di una mensa che poggia al centro su di un grande fusto cilindrico e, ad aiutare nel sorreggere, quattro colonnette laterali: chiaro richiamo a Gesù e agli Evangelisti.
Esattamente dinnanzi all’altare centrale vi è una porticina e, al di là della stessa, un’angusta scalinata che in breve conduce alla soprastante Basilica. Questa, consacrata nel 1197, si presenta all’occhio del forestiero con un abito semplicissimo dove, qua e là, si intravedo i primi contagi dello stile gotico proveniente dal nord dell’Europa.
La presenza della sottostante cripta ha imposto il frazionamento della Basilica in due parti, dove quella del presbiterio risulta più elevata e raggiungibile per mezzo di una scalinata. Proprio la parte alta è stata, siamo nel 1854, oggetto di una poco avveduta ristrutturazione con la quale è andata perduta l’originale abside centrale a catino.
Degno di nota è senza dubbio il Crocifisso realizzato a grandezza naturale dal pavese Francesco Tiraboschi nel corso del 1567.

Eremo di Fonte Avellana: la storia
Un periodo lunghissimo è quello che separa l’oggi dal giorno di fondazione di Fonte Avellana, un dì perduto tra il 980 e l’anno 1000. E il tempo, mascalzone, ha agito come una gomma sul passato della sacra struttura, al punto che ora neppure se ne ricorda con certezza il fondatore: Ludolfo Vescovo di Gubbio o San Romualdo Abate?
Cercare una risposta alla domanda equivarrebbe a perdersi in un mare di ipotesi e, in ogni caso, nessun applauso spetterebbe noi per aver svelato l’arcano: Fonte Avellana ha già il suo carismatico beniamino in SAN PIER DAMIANO e non sembra aver l’aria di chi ne cerca di nuovi. Anzi, si può dire che il Santo ravennate – eletto Priore nel 1043 – sia il vero iniziatore della Congregazione Avellanita, infatti è proprio sui principi teologici espressi dalla sua Regula vitae eremiticae che si basava (e in buona parte si basa tutt’oggi) la vita nell’Eremo.
Nel 1325 Fonte Avellana smise di essere Eremo per divenire Monastero, si preferì insomma assecondare la volontà divina con la forza di una comunità anziché con l’isolamento volontario. La Congregazione Avellanita si mantenne indipendente a tutto il 1569, allorché Papa Pio V ne fece una sol cosa con quella camaldolese e, a conti fatti, l’idea non si dimostrò errata: l’unione infuse nuova forza tanto al cenobio di Camaldoli quanto a quello marchigiano.

Un’inesauribile (e invincibile) fontana di spiritualità
In un mare di corruzione e malcostume – sovente interno persino alla Chiesa stessa-, Fonte Avellana trovò la forza di mantenere salda la sua posizione. Sempre. Fu, in poche parole, una delle poche luci a rischiarare la tenebra di peccato che andava offuscando il vivere umano.
E questo suo attenersi alla regole, alla Parola dell’Onnipotente, anche quando ciò sembrava cosa tra le meno facili, gli valse un’importanza sempre crescente: non è fatto fortuito se qui si formarono e vissero settantasei tra beati e santi, oltre cinquanta vescovi, cinque cardinali e altrettanti Papi (Celestino II, Innocenzo III, Celestino V, Giulio II e Gregorio XVI).
Allo stesso modo non è un caso se nientemeno che Dante Alighieri scelse di soggiornarvi nel 1318 e Papa Giovanni Paolo II di visitarlo quasi sette secoli più tardi al fine, disse, di dissetarsi alla sua ‘fontana di spiritualità’ in un’atmosfera in cui tutto è richiamo ai valori della fede.
Ma tanto prestigio può far paura. E allora ecco sferrata una bella stilettata contro il monastero: correva l’anno 1392 quando Fonte Avellana si vide piovere addosso la commenda, una piaga umiliante, snaturante, che oltre a favorire in moltissime occasioni la decadenza morale dei luoghi dello spirito, ne affidava i beni a persone estranee e, va da sé, di alto rango.
Le cose umane, tuttavia, hanno sempre un termine e le commende non fanno eccezione. Spesso però a saltar fuori dalla padella si finisce col tuffarsi nella brace: a sancire la fine dell’infausta pratica fu infatti la soppressione napoleonica (seguita a ruota da quella italiana).
Ma come un’araba fenice, il bel monastero perso nelle campagne di Serra Sant’Abbondio è rinato, riscattato dall’Ordine Camaldolese.
Bibliografia
- L. VIGILUCCI – Fonte Avellana – Pazzini Editore, 1992
- D. SACCO – La Provincia dei Centoborghi – Metauro, 2006
- P. PIVA – Il romanico nelle Marche – Jaca Book, 2013
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