LA STORIA DI FOLIA E MUTINO
Folìa e Mutino, la leggenda del fiume Foglia.
E’ dalle parti di Monte Sasso Aguzzo che il Foglia trova la vita.
Le sue acque, prima di arrivare a Pesaro e tuffarsi stanche nell’azzurro dell’Adriatico, accarezzano le terre di Sestino, Belforte, Piandimeleto, Lunano, Sassocorvaro, Auditore, Montecalvo, Montelabbate e Vallefoglia; terre che come una madre nutre.
Se è risaputo che il fiume si chiamava anticamente Isaurum, meno noto è come il suo nome sia cambiato d’un tratto in quello di Foglia. Diverse sono le spiegazioni date, ma nessuna davvero convincente… e allora, fantasia per fantasia, mi piace pensare che la responsabilità sia di una vecchia leggenda, quella di Folìa e Mutino, le cui parole ho trovato ancora impresse entro pagine ingiallite dagli anni e nella memoria tenace di qualche anziano.
A quanto si dice, v’era un tempo in cui le genti degli abitati di Lunano e Piandimeleto avevano gli occhi colmi d’incanto; l’incanto viveva in un luogo chiamato La Cupa e, soprattutto, aveva un nome: quello di Folìa.
Folìa era una giovane dedita alla magia, – una ninfa fluviale, per la tradizione – il cui viso, bellissimo, veniva incorniciato da una fluente chioma corvina, chioma che scendeva fino ad accarezzare il lungo collo da cigno e poi giù, nel tentativo vano di coprire le seducenti forme del corpo.
Un ragazzo che abitava i boschi della Cantoniera e aveva nome Mutino, decise di cambiare la sua abitudine di bagnarsi nelle acque del Marecchia e di tuffarsi, almeno per una sera, in quelle dell’Isauro, proprio dalle parti della Cupa. Ed è qui che Folìa e Mutino si incontrarono per la prima volta, dove i loro corpi si unirono nella passione e le loro anime in un amore eterno.
Ma l’amore fa sognare ad occhi aperti e la mente, a galoppo del cuore, arriva in luoghi meravigliosi e lontani, decisamente troppo lontani dalle mani e dalle incombenze pratiche. Fu così che Folìa, distratta, commise un errore nella realizzazione di un filtro d’amore che le era stato commissionato. Quando assaggiò l’intruglio per verificarne la bontà, di colpo i suoi capelli si ingrigirono, la carne avvizzì e le ossa si curvarono tremendamente: l’affascinante maga era divenuta una strega orribile!
Folìa tentò di rimediare, ma il guaio in cui si era ficcata era decisamente più grande di lei e delle sue capacità: nessun tentativo le restituì le precedenti, meravigliose, sembianze.
Prigioniera di quel corpo terrificante, colma di vergogna e disperazione, Folia si nascose alla vista di tutti.
Ogni sera, per anni, le grida disperate di Mutino cercarono Folìa.
Ogni sera, per anni, quelle grida graffiarono le orecchie e l’anima della poverella, che non rispondeva mai e sempre il pianto rompeva in singhiozzi.
Piangeva ed era sempre più triste e innamorata, Folìa.
La volta che pianse più forte fu quando decise che senza Mutino non poteva vivere, ma non era la morte a rattristarla, bensì il pensiero di perdere una volta per tutte il ricordo del suo amante.
E poi capì. Capì che in un amore vero ci sono anche le lacrime, e una lacrima era ciò che mancava al suo filtro d’amore.
Folìa preparò di nuovo, affannosamente, la pozione magica, ne bevve, e tornò bella come prima. Forse ancor di più.
I due giovani amanti tornarono assieme e per sancire definitivamente l’unione diedero i loro nomi al fiume Foglia e all’affluente Mutino.
Ancora oggi le acque del Foglia e del Mutino si cercano e si sfiorano come dita di amanti, si uniscono a divenire la stessa cosa e, gioiosamente, corrono fino al mare, insieme, verso l’immenso.