La Madonna delle nuvole (o della neve)
Non tutti sanno che l’antica Casteldurante può vantare il possesso d’un dipinto magnifico, un piccolo capolavoro stimato in egual misura da fedeli e critici d’arte: è la Madonna delle nuvole –o “della neve”- di Federico Barocci, oggi conservato presso i Musei Civici della città.
Si tratta di un’opera ancora poco conosciuta fuori dai confini comunali, ma che sembra di anno in anno acquisire sempre maggiore popolarità. E la crescente curiosità attorno ad essa ha certamente i suoi buoni motivi di essere.
Quali? Andiamo, se vi va, a dare un’occhiata più da vicino.

Introduzione al dipinto
La Madonna delle nuvole (cm 175×113) fu con tutta probabilità l’ultima tela a uscire dalla bottega del maestro urbinate attorno al 1609, sfuggendo di un soffio l’incompiuto toccato invece in sorte alle coeve rappresentazioni dell’Addio di Cristo a sua madre, de Il Compianto su Cristo morto e dell’Assunzione della Vergine. Lavori, questi, che lo studioso Peter Gillgren vede relazionati ad una ormai costante meditazione sul tema della morte da parte dell’artista.
Sono diversi gli elementi che suggeriscono una datazione tarda della Madonna della neve. Anzitutto, vanno tenuti in considerazione i disegni preparatori (conservati presso gli Uffizi di Firenze) realizzati, alla maniera tipica del Barocci più maturo, su carta grigio-perla e non su carta cerulea come questi era solito fare negli anni precedenti la vecchiaia. E poi un occhio dovrebbe andare anche allo stile.
Federico si è cimentato più volte, nel corso della sua carriera, con il soggetto Madonna-Bambino-nuvole (vedi la pala d’altare commissionatagli dai cappuccini di Fossombrone o l’acquaforte oggi presente nella collezione Calavalle), eppure la Madonna delle nuvole di Urbania si differenzia molto dalle altre eseguite in precedenza. Qui la mano creatrice è leggera e le tonalità lievissime, tanto che le figure di Gesù e di sua madre non sembrano affatto stagliarsi sullo sfondo, ma – in qualche modo – emergere con delicatezza dall’argento delle nubi che stanno loro attorno.
C’è poi da dire che la semplicità evidentemente ricercata dall’artista non è confinata alla tecnica, si estende anche al soggetto: l’iconografia cristiana ci ha abituato a vedere la Vergine in trono sulle nubi come Regina Coeli, ricca di ornamenti, spesso con una corona ad impreziosirle il capo e angeli a tenerle compagnia a mo’ di docili servitori alati… Eppure tutto questo non si trova nella nostra Madonna delle nuvole. Quella del Barocci è una Vergine umilissima, scalza addirittura, e con appena un velo ad accarezzarle i capelli.
La potenza enorme dell’opera sta nella sua normalità, nella sua famigliarità, nel dire “persone” e non astratte entità, persone dotate di uno sguardo intenso che sembra cogliere e amorevolmente comprendere ciò che passa per la mente di chi guarda.

Madonna della neve o Madonna delle nuvole?
E’ più corretto riferirsi al dipinto con il tradizionale Madonna della neve o con il più moderno Madonna delle nuvole? Ambedue i modi sono corretti.
L’appellativo Madonna della neve prende probabilmente le mosse dal luogo in cui l’opera ha trascorso gran parte della suo tempo, ovvero la Chiesa del Santissimo Crocifisso, più comunemente nota come Chiesa dell’Ospedale. Ebbene, il detto edificio sacro è stato eretto sulle rovine dell’antica Chiesa benedettina di Santa Maria della neve, un passato che qualcuno ha voluto ricordare dedicando un altare proprio a Santa Maria della neve… altare che ha conosciuto così a lungo la presenza dell’opera che ha finito col passarle addirittura il nome.
Madonna delle nuvole è un modo di chiamare il quadro nato invece più tardi, probabilmente attorno al 1962, quando lo studioso Harald Olsen mise lo stesso in relazione a un altro lavoro del maestro, un piccolo dipinto ritraente un Cristo Infante sulle nubi (di cui sopravvivono solo copie, l’originale è andato perduto) utile a impreziosire un’acquasantiera che il Duca Francesco Maria II Della Rovere volle donare a Papa Clemente VIII. Tale confronto dimostrò chiaramente che il piccolo Gesù immerso nelle nuvole regalato al Pontefice nel 1598 veniva dritto dritto dai disegni preparatori realizzati per la durantina Madonna della neve.

La Madonna delle nuvole e la sua “avventurosa” immobilità
Fermo, immobile nella sua nicchia presso la Chiesa del Santissimo Crocifisso per secoli (un documento ne attesta la presenza a partire almeno dal 1681), fino a che nel 2011 l’amministrazione comunale ha deciso per il trasferimento del dipinto presso i Musei Civici: eppure l’esistenza della Madonna delle nuvole ha seguito un cammino decisamente tortuoso.
Tra i tanti misteri che aleggiano attorno a questo straordinario lavoro, il primo è legato alla committenza. Proprio il non sapere chi avesse di fatto richiesto il dipinto al Barocci, infatti, ha dato la stura alla leggenda che vorrebbe la Madonna della neve oggetto di proprietà di Francesco Maria II Della Rovere, oggetto che secondo i racconti della tradizione il medesimo Duca avrebbe tenuto sulle ginocchia sul letto di morte per un ultimo conforto e poi donato al religioso appartenente all’ordine dei caracciolini della Chiesa del Santissimo Crocifisso che lo stava benignamente accompagnando nel tragitto verso il Regno di Dio.
Tuttavia il dipinto non è presente negli inventari di Francesco Maria.
Il fatto che gode forse di maggior probabilità, visti i buoni rapporti del Della Rovere con diversi membri dell’ordine dei caracciolini, è che la tela sia stata regalata dal Duca a uno di questi per amicizia in un’occasione diversa da quella del trapasso, e che la stessa sia uscita dalla bottega del maestro urbinate per finire direttamente nelle mani del beneficiario.
È anche possibile che chi ha ricevuto in dono la Madonna delle nuvole abbia poi pensato di metterla a disposizione di tutti presso la Chiesa del Santissimo Crocifisso. Un’azione informale che spiegherebbe la totale assenza di informazioni.

Un dipinto senza pittore
Ciò che di certo la morte di Francesco Maria II portò in eredità ai padri caracciolini fu invece la straordinaria biblioteca di questi, una collezione di libri stampati buona a fare di Casteldurante un’ambita meta per chi era alla ricerca del sapere. Nel 1667, però, tale biblioteca venne trasferita a Roma per ordine di Alessandro VII e la cittadina marchigiana smise le vesti di importante centro culturale.
L’assenza di studiosi e di informazioni circa la nostra opera – che ricordiamo entrata quasi di soppiatto presso la Chiesa dell’Ospedale – hanno favorito la perdita di memoria, e già nell’inventario del 1681 la tela veniva annoverata come “Il quadro della B.V. con le cornici turchine” senza menzionarne affatto il pittore. Anonimia ancora più sfacciata fu quella dell’inventario 1738, quando a fianco della Madonna delle nuvole apparve l’appunto “di buona mano”. Peggio che peggio andò nel 1744, quando chi compilò i documenti fraintese un commento che asseriva che il quadro era dipinto con mano di Grazia e attribuì la paternità dell’opera a Leonardo da Pistoia detto, appunto, il Grazia.
Sia come sia, vuoi perché di una bellezza non comune, vuoi perché da molti ritenuto dispensatore di miracoli, i durantini non smisero mai di parlare del piccolo capolavoro senza autore. E così nell’Ottocento alcune guide stampate attaccarono a consigliarlo come oggetto di cui non lasciarsi scappare la visione e lo collegarono prima alla scuola e poi, qualche decade più tardi, al Barocci stesso.