Monte Gherardo di Cagli
Si fatica a crederlo, ma Monte Gherardo esiste. Minore tra i centri minori di Cagli (PU), questo borghetto è davvero restio nel parlare di sé. Così restio che poco si sa circa la sua storia ormai quasi millenaria. E tra le poche informazioni pervenute, le più degne di nota sono che venne costruito per meglio difendere l’odierno capoluogo comunale dalla vicina Pergola e che fu distrutto per la prima volta dalle unite forze dei Montefeltro e dei Brancaleoni di Rocca Leonella nel 1318.

Lontano da tutto e tutti, Monte Gherardo oggigiorno si fa trovare solo da coloro che hanno la pazienza di lasciare sobbalzare l’automobile lungo parecchi chilometri di strade polverose e prive d’asfalto. Una sorta di rito d’iniziazione che precede il meraviglioso conoscere, un rito interrotto d’un tratto dal manifestarsi d’una grande e bella quercia. Ai piedi del robusto albero, come coccolati dall’ombra dello stesso, paiono trovare conforto una sacra edicoletta e un lavatoio, minute costruzioni che confidano al forestiero che dopotutto l’uomo è riuscito ad arrivare anche qua e lo avvisano dell’imminente incontro col paesello (non lontano c’è anche una delle cosiddette “Pietre della Memoria”).

E in effetti eccolo, Monte Gherardo, eccolo sbucare fuori apparentemente dal nulla e in tutte le sue peculiarità. Un paese cresciuto come per divenire affronto alla moderna architettura, con le case in pietra mai simili tra loro, ora strette e alte, ora larghe e basse. Abitazioni addossate le une alle altre che paiono poter cadere faccia all’avanti in ogni momento sull’unica stradicciola che fende l’abitato. E tutto ciò in barba al grande spazio vuoto d’abitazioni che si stende lui attorno, in un’insolita scelta costruttiva che pare il puntiglio d’un pasticcere abilissimo e mezzo matto, risoluto nell’avvolgere il suo cioccolatino migliore non già nella solita carta, bensì per mezzo d’un lenzuolo.

Monte Gherardo di Cagli risulta come sospeso tra tre epoche storiche differenti: il medioevo, il dopoguerra e l’oggi. Per il medioevo parlano com’è ovvio le pietre stesse del borgo; del dopoguerra sono testimoni i forni ancora anneriti per la cottura comune di vecchi pani e i numerosi oggetti agricoli, spesso prodotti fino agli anni ’70, che gli odierni residenti hanno rinvenuto abbandonati in ogni dove come per una fuga improvvisa degli antichi proprietari, una fuga che portava dritti dritti nelle industrie delle grandi città.

E a dire il presente? A dire il presente c’è un’automobile parcheggiata, le antenne sui tetti, un ombrellone in plastica e un telefonino che squilla da dietro una finestra. Poca cosa? Affatto, un borgo abbandonato, piano piano, attacca di nuovo a sentire lo scorrere di qualche rivolo di vita per la sua unica, fino ieri silenziosa, via.