Peglio: paese di gessi, cipressi e tramonti
Di lontano, tra le cittadine dell’Alta Valle del Metauro, Peglio è certamente quella che più difficilmente riesce a sfuggire lo sguardo. In effetti, artigliata com’è alla sommità del suo strepitoso masso, è impossibile dalla piana sottostante non percepirne la presenza, tanto più che questa viene ribadita da una peculiare e poderosa torre che tutto può fare tranne che passare inosservata.
Eppure Peglio è abitato che raramente fa dire di sé. Vuoi perché a differenza dei paesi limitrofi rimane staccato dalla via principale che corre a fondovalle o vuoi perché l’ombra del blasone della vicina URBANIA riesce ad arrampicarsi fin sui 534 metri d’altitudine ove sorge il nostro bel castello, fatto sta che Peglio non è conosciuta quanto meriterebbe.
Già, perché da queste parti di bellezza ce n’è a volontà, solo che è un po’ restia a raccontarsi. E oggi, a questa timida meraviglia, voglio prestare qualche parola.

Ecco cosa vedere a Peglio
Dicevamo della Torre, costruzione massiccia eppure slanciata, che funziona da calamita per gli occhi di chi si trova nei paraggi e, seppur involontariamente, diventa un invito alla visita davvero difficile da declinare. E allora cominciamo a raccontare di Peglio partendo proprio da lei, dalla bella Torre del Girone.
E’ bene mettere subito in chiaro che si tratta di un rifacimento, visto che la struttura originaria (risalente al XIII° secolo) ha dovuto dar l’addio a questo mondo nel 1944, sopraffatta come fu dalle angherie della guerra. Tuttavia i materiali moderni non hanno per nulla intaccato il senso del luogo, né tantomeno la sua memoria. E poi diciamocelo: vecchia o nuova che sia, la Torre del Girone – con gli eleganti cipressi a tenerle compagnia e il portentoso panorama che le si fa attorno come per una sorta di corteggiamento ancestrale – è un posto unico, un luogo davvero prossimo alla magia.
Lo sguardo più attento noterà poi, sulla cima della quadrangolare struttura, una sagoma che pare quella d’un signore intento a sistemare la luna in cielo: è Il sogno di Fantaso, un’opera d’arte che simboleggia il riscatto dell’uomo moderno che, arrivando a toccare il satellite naturale della Terra, realizza l’utopia. Come dire, volere è potere.
E proprio sotto la pregevole opera di Americo Salvatori se ne stava, almeno fino a non troppo tempo fa, una campana caratterizzata da scritte gotiche sovrimpresse. Oggi il bel bronzo si è trasferito più da basso, in mezzo a due escrescenze gessose cresciute nel bel mezzo del borgo… anch’esse sono simbolo cittadino: il gesso, in effetti, è elemento chiave per comprendere il significato di Peglio, dal momento che proprio su questa materia il paese nasce. Non di meno, il gesso è entrato nella memoria dei locali come fonte di lavoro e sostentamento, oltre che come elemento del vivere quotidiano.
A due passi – letteralmente – dalla campana si trova infine la Chiesa barocca di San Fortunato. Da segnalare, all’interno del luogo di fede, una splendida Via Crucis realizzata nel ‘700 dai maestri ceramisti durantini e due antichissime cripte risalenti all’epoca longobarda.

I cinque sensi
Abbiamo già raccontato del “Sogno di Fantaso”, quello che ancora manca d’essere detto è che non si tratta dell’unico pezzo d’arte contemporanea di cui Peglio si può vantare.
Ai piedi della Torre del Girone si trova infatti una passerella: inizialmente il forestiero potrebbe intendere questo stretto passaggio come una specie di terrazza sospesa da cui meglio godere del panorama o dalla quale gettare uno sguardo ravvicinato sugli adiacenti gessi (nella roccia si aprono anche delle curiosissime grotte). Ben presto, però, il visitatore si andrà ad imbattere in altre opere, a volte minute e altre più evidenti. Occorreranno pochi attimi perché questi si renda conto che non si tratta di lavori isolati ma di un percorso artistico che abbraccia tutta la parte vecchia del paese, dove quanto realizzato dalla mano dell’uomo d’oggi si fonde perfettamente con quello che c’è attorno.
E allora le anime bambine potranno giocare a un’insolita caccia al tesoro: che sia un libro di bronzo, un elegante portale o un murales che dalle pareti della vecchia osteria racconta la presenza di antichi avventori poco importa… ogni lavoro è scoperta eccezionalmente gustosa.
Per cogliere l’idea più romantica di questo percorso è però necessaria un’imbeccata: è effettivamente difficile afferrare a freddo il significato dei dodici alberi posti a mezzo del percorso. Sono alberi da frutto messi lì a raccontare il rincorrersi dei mesi, l’unica eccezione è il cipresso – albero davvero popolare da queste parti – che sta quasi alla fine della fila a dire di novembre. E, perché no, a narrare anche un po’ di Peglio.

Storia di Peglio (in breve)
Per quel che ne sappiamo, il primo scritto su Peglio arriva dalla mano di Paolo Diacono ed è riferibile all’anno 728 d.C . Cosa racconta il testo è presto detto: le truppe di Liutprando, fronteggiando l’esercito romano-bizantino, proprio dalle parti del nostro castello trovano una seconda, rovinosa sconfitta.
Dal momento che il documento si riferisce all’abitato con l’appellativo di vicus, c’è da pensare che questo godesse già di una certa organizzazione e di autonomia. Non è quindi improbabile che l’origine di Peglio sia da ricercarsi ancora più a ritroso nel nastro del tempo, magari all’epoca della riforma amministrativa di Diocleziano.
Peglio fu poi per lungo tempo libero Comune, almeno fino al 1288, anno in cui Nicolò IV lo rese parte della provincia della Massa Trabaria. Successivamente, a partire dal 1334, il castello conobbe la dominazione dei Brancaleoni durantini, una sorta di tirannia che venne spezzata una ventina di primavere più tardi dal Cardinale Albornoz che, riorganizzando lo Stato Pontificio, inserì Casteldurante e Peglio nei nuovi confini della Massa Trabaria.
Nel 1390, il borgo divenne cosa di Antonio da Montefeltro e rimase parte integrante di quello che poi si fece Ducato d’Urbino fino alla devoluzione dello stesso (1631) allo Stato della Chiesa.
Peglio fu Comune (comprendente anche l’abitato di Lunano) fino al 1929, quando il regime fascista l’assoggettò a Urbania. Il bel castello ottenne nuovamente la sua libertà amministrativa a guerra finita.
Da notare che la piazza di peglio anche se più piccola.. A grande assomigliamza alla piazza centrale di Anghiari.. Non sono uno storico ma conosco bene il centro Italia..
Fatto curioso. Mi toccherà di approfondire. Un sorriso e un grazie, Ferruccio!