Serpente Regolo, mitologica creatura d’Appennino
Il serpente Regolo è una tra le più affascinanti creature che popolano il vasto immaginario magico proprio delle antiche genti d’Appennino. Eppure questa straordinaria bestia non è oggigiorno che l’ombra di sé stessa, un “povero diavolo” la cui figura giace orgogliosa e quasi del tutto dimenticata tra gli slavati ricordi dei vecchi ragazzi nati tra le due guerre mondiali, ultimi testimoni di quella cultura agro-pastorale che sta andando via via spegnendosi.
Ci fu un tempo, tuttavia, che il solo nominare il serpente Regolo bastava a far tremare polsi e caviglie. E di sicuro, se il progressivo abbandono delle campagne non l’avesse fatto scomparire quasi del tutto dalle bocche dei contadini, questo “Re dei serpenti” sarebbe ancora al centro della scena narrativa nostrana, ben capace di affascinare e far sobbalzare parecchia gente.
La fama del nostro animale fantastico era in effetti così sinistra che nel passaggio dal paganesimo al cristianesimo si sentì il bisogno di costruire degli edifici di culto proprio laddove si pensava vivesse un serpente Regolo. Edifici, questi, che sovente andavano ad aggiunge al nome del santo di turno cui erano intitolati la dicitura in Regola: si prenda ad esempio il caso di Santa Maria in Regola a Imola. Col tempo e con l’uso in Regola ampliò la sua portata e finì per essere utilizzato per indicare non solo luoghi abitati dal malefico, ma anche semplicemente insalubri o impervi, in qualche modo bonificati.

Com’è fatto un serpente Regolo?
Il Regolo è un rettile non lunghissimo, ma decisamente massiccio. Queste sono le uniche caratteristiche che valgono in pressoché tutti i territori in cui il leggendario rettile è stato “avvistato”. A quanto pare l’aspetto di un Regolo marchigiano, differisce da quello di un Regolo toscano, laziale, umbro, abruzzese o romagnolo.
La nostra bestia può avere due teste se si trova in Umbria, squame metalliche e minute ali se in Toscana. Potrebbe assomigliare a un piccolo drago se si parla di “E’ regùl” romagnolo e avere qua e là una testa di gatto. Sovente, soprattutto nelle Marche, possiede lunghi baffi e una mezzaluna sulla fronte dalla quale originano due o tre corna.
“Stava a testa ritta, fermo (…) l’ho visto a due o tre metri di distanza, il Regolo lo chiamano (…) è più grosso di tutti gli altri serpenti, è verdaccio, guai a toccarlo (…). Dicono qualcuno che incanta (…) non bisogna farsi prendere dall’incanto perché sarebbe un guaio, ma io non mi intendo (…) io la considero magia”.
Testimonianza di Giuseppe Giampieri (Borgo Pace) raccolta da Marco Renzi nel suo Il Rospo d’Oro.
Il basilisco
La tradizione vuole che un serpente Regolo possa nascere da una vipera tagliata a metà che per qualche ragione sopravvive alla perdita della coda, oppure dalla trasformazione di una vipera che ha superato i cento anni d’età.
Alcuni sostengono anche che per fare un Regolo serva l’uovo di un vecchio gallo poi covato da un serpente o da un rospo, e questa credenza pone la nostra creatura in relazione con un’altra: il basilisco (maggiori informazioni QUI ). Anzi, probabilmente il mostruoso rettile non è altro che il risultato della trasformazione subita nei secoli dalla storia del basilisco nelle terre d’Appennino. A dar maggiore forza a questa tesi contribuiscono anche coloro che “avvistando” il Regolo l’hanno poi descritto come “un gallo con la coda di serpente”, fisionomia in realtà tipica del basilisco.
Non di meno, tanto il serpente Regolo quanto il basilisco vengono detti “Re dei Serpenti” o “Piccolo Re”.

I poteri del serpente Regolo
Si dice che il veleno del basilisco fu capace, allorché un antico cavaliere infilzò l’animale con la sua lancia, di arrampicarsi su per l’arma, uccidere l’uomo e da ultimo finanche il suo destriero. E questo fatto basterebbe a dire del basilisco come della più letale creatura.
Il nostro serpente Regolo -pur condividendo con il suo parente più nobile la capacità di sputare fiamme e di portare estrema siccità all’ambiente- non è, tuttavia, altrettanto potente. D’altra parte, il mitologico rettile che popola l’Appennino non doveva vedersela così di frequente con coraggiosi cavalieri. Anzi, veniva perlopiù a trovarsi alle prese con poveri contadini analfabeti. E sulle paure di questi è andato per lungo tempo affinando i suoi poteri malefici.
Ecco allora che avere di fronte il maligno animale era per le umili genti di campagna un po’ come guardarsi dentro, fare i conti con le proprie mancanze. O forse, al contrario, non farli affatto. Il Regolo , infatti, col suo intenso, selvatico e nauseabondo odore “secca” i raccolti. Non contento, di notte nella stalla, succhia così tanto latte da lasciarne sprovviste bestie e uomini. E quella donna il cui seno non basta a sfamare il bimbo? Poveretta, di sicuro è finita inconsapevolmente, magari addormentata, tra le grinfie del serpente Regolo.
Il sonno
Tra le più straordinarie, malefiche virtù del Regolo c’è che può ipnotizzare, far dormire. E proprio il sonno è quello che distingue un bravo pastore da uno incompetente: il pastore immaturo, che non riesce a tener gli occhi aperti, può causare danni gravi al suo gregge e conseguentemente provocare dissesto economico alla propria famiglia. Il non dormire non era solo visto come prova di forza fisica, ma anche come dimostrazione di carattere (forza dell’anima?).
Addormentarsi all’aperto poteva poi causare disgrazie anche peggiori. Approfittando dello stato d’incoscienza in cui versava la vittima del Re dei serpenti, altre creature avrebbero potuto portarle tormento. I cattivissimi folletti d’Appennino, ad esempio, non c’avrebbero pensato due volte a ricoprire di borra l’addormentato o a infliggergli scherzi ancor più sadici. Ma la regina delle catastrofi per lo sventurato era quella di risvegliarsi col dono del “vedere” e del “sentire”. Cioè di entrare in comunicazione con la vita ultraterrena, di vedere persone defunte e di sentirne richieste e lamenti.
Ma non tutto del serpente Regolo era da buttare: con la sua muta primaverile era possibile curare mal di testa e otiti, il suo sangue era capace di annullare malefici e dalle piccole corna si ricavavano talismani utili a scacciare gli spiriti.
BIBLIOGRAFIA
- M. Renzi – Il Rospo d’Oro – Editoriale Delfi, 1998;
- M. Brizigotti – Leggende storie e misteri delle valli del Metauro del Candigliano e Urbino – Edizioni Nuova Prhomos, 2019.